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martedì 10 settembre 2013

FUMETTI CHE PASSIONE - PYONGYANG

Dalla quarta di copertina: Nel 2001 a Guy Delisle viene concesso il raro privilegio di accedere in uno dei paesi più imperscrutabili del mondo: la Corea del Nord, una nazione-fortezza nella cui capitale il fumettista trascorrerà due mesi per sovraintendere alla produzione di un cartone animato francese. Dai suoi appunti "disegnati" nasce Pyongyang, resoconto di viaggio che "The UK Guardian" ha definito "evocativo al pari dei miglior foto-reportage mai prodotti": il racconto incredibile di un paese per la maggior parte del mondo ancora completamente oscuro.

Questo diario di viaggio a fumetti, recentemente ripubblicata dal Corriere Della Sera, potrebbe essere considerata l'esempio perfetto di come si possa fare del giornalismo serio usando ironia e intelligenza (sarà un caso che il signor Delisle non ha nulla a che fare con il mondo del giornalismo?).
I disegni sono semplici ed essenziali ma evocativi, in particolare gli orridi monumenti di regime sono rappresentati quasi come fossero barzellette e gli stessi ragionamenti dell'autore riescono a strappare più di un sorriso. Un sorriso sempre abbastanza amaro però, come amara è quella terra dove in pratica non esiste libertà. Con "Pyongyang" veniamo a conoscenza di un paese grottesco, con regolamenti improbabili e un modo di pensare assolutamente standardizzato e privo anche del più innocente volo pindarico. Delisle prova a grattare la superficie del paese, ma entrare nella mente delle guide e dei traduttori, perennemente incollati a lui, è impresa ardua, ai limiti dell'impossibile. Tanto che non si può fare altro che arrendersi e constatare con occhio tragicamente ironico ma oggettivo la realtà di questo paese. Molto evocativa la parte in cui l'autore regala una copia di "1984" al suo traduttore e lui la riconsegna imbarazzato, due settimane dopo, commentando in maniera abbastanza nervosa: "Mi dispiace, ma i romanzi di fantascienza non mi piacciono molto".
Ci sarebbe tantissimo da dire su questo diario di viaggio, ma non vorrei togliervi il piacere di leggerlo e scoprire un po' alla volta le tante assurdità del paese più chiuso e inaccessibile della terra. Vi lascio con un commento molto profondo di Guy Delisle che ha come soggetto i suoi accompagnatori nordcoreani e che, in pratica, racchiude dentro di sé tutta la filosofia di questo interessantissimo lavoro.

C'è una domanda che vorrebbero fare tutti gli stranieri che visitano questo paese, una domanda che ci guardiamo bene dal fare a voce alta, una domanda che infine ci rivolgiamo in silenzio da soli: "Ma ci credono veramente a tutte queste stronzate che cercano di propinargli?" 
Per chi vive isolato in campagna, dove serve un visto anche per spostarsi da un villaggio all'altro, la propaganda deve funzionare a meraviglia. Ma per quelli che conosco è diverso. Loro fanno parte degli "Happy few" e hanno il rarissimo privilegio di poter uscire dal paese. Ogni contratto firmato con uno studio di animazione permette infatti a diversi di loro di farsi inviare all'estero per "avviare il lavoro". In realtà, quelli che vanno a visitare Roma o Parigi non sono per forza gli stessi che poi lavoreranno sui progetti. Inoltre solo gli uomini sposati e con figli possono partecipare ai viaggi. Anche se non lasciano trasparire nulla, non possono essere ciechi. In realtà vivono in un paradosso costante dove la verità cambia di momento in momento. Lo stesso vale per la paura costante di ritrovarsi in un campo di rieducazione... ufficialmente non esistono ma tutti sanno che ci sono. E sopra ogni testa è sospesa una spada di Damocle che rischia di abbattersi al minimo passo falso, trascinando con il "colpevole" tutta la sua famiglia.
A un certo livello di oppressione poco importa che forma prende la verità, perché in fin dei conti più è enorme la menzogna, più il regime dimostra i propri poteri, e più obbliga la popolazione a vivere nel terrore.
Un terrore nascosto, un terrore sordo.



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